giovedì 30 settembre 2010

12. Risvegli

Settembre sta finendo, così come il mio tempo qui. Addormentarsi è sempre difficile, tanti pensieri per la testa e tanto caldo. Più si avvicina il momento della partenza e più si accumulano i dubbi, come sarà svegliarsi nel proprio letto con la doccia calda al mattino, le posate e il riscaldamento? Prima di arrivare qui ero tranquillo, sapevo che avevo tutto da imparare e niente da perdere, rielaborare la montagna di esperienze nuove credo sarà molto complicato, molto più pesante dei tanti risvegli madidi di sudore nel cuore delle notti tamil.

In un momento di pausa l'altro giorno mi sono seduto e ho riguardato il materiale che avevo letto prima di partire con alcune interviste ai ragazzi della Casa. Volti che ormai riconosco dal sorriso stampato continuamente in faccia parlavano di padri alcoolizzati e morti giovani o emigrati, madri morte di parto, fratelli maggiori obbligati a suon di botte a lavorare, paghe giornaliere in industrie di mattoni, vessazioni, degrado, dolore. È stato un brusco risveglio dalla quotidianità quasi idilliaca della Casa, in cui li vedo giocare, studiare e mangiare di gusto tra di loro e insieme a me.

Far dimenticare loro le difficoltà nei villaggi e nelle case le ha fatte dimenticare anche a me: ogni volta che li incontro mi chiedono come sto, e io ho imparato a rispondere loro e chiederlo a mia volta, non ero abituato a farlo, mi sembra di stare in una casa di amici. I sorrisi e i giochi mi mostrano quanto lavoro è stato fatto, le parole scritte e lette sono come macigni a ricordare quanto c'è ancora da fare, ad esempio per combattere il dilagare dell'alcolismo in un posto in cui un bicchiere colmo di brandy puro - 180 ml - costa 50 rupie, 1 Euro (così come un litro di benzina, sono le principali voci nelle entrate del Governo) e i negozi di alcolici sono infatti sempre pieni.

I ragazzi dovrebbero partire per una due giorni in montagna a 12 ore di pullmann da qui, partenza stasera e ritorno sabato notte. Domenica mattina presto parto per Chennai, per questa volta passerò, anche perché ho ancora un po' di malanni. La partenza è comunque sub judice: oggi ci sarà una sentenza nel nord dell'India su un caso spinoso di indù contro musulmani, il verdetto di Ayodhya (v. qui e qui), e il governo ha disposto misure di sicurezza per evitare tumulti in tutta la nazione.


Vedendo il traffico delle città e la gente che ti sorride e ti accoglie per strada, cogliendo la strana armonia con cui fedi e persone diverse stanno fianco a fianco si fa fatica a realizzare i feriti o morti giornalieri nel Kashmir, le zone di confine disputate e militarizzate e le immense disparità sociali di cui mi sono fatto una vaga idea leggendo i quotidiani che ogni mattina arrivano alla Casa.

Un altro brusco risveglio è arrivato ieri sera: pensavo di partecipare ad un awareness program in un villaggio a prevalenza indù, ma il Father mi ha detto che è meglio lasciar stare, alcune persone l'ultima volta non hanno gradito la presenza di un "occidentale", associandola ad un'invadenza cristiana. Sono pochi, ma ci sono: quando impareremo - tutti quanti - a convivere davvero?

mercoledì 29 settembre 2010

11. Democrazia

Che l'India sia la più popolosa democrazia del mondo ce lo sentiamo ricordare ad ogni elezione. In realtà - come mi ha detto John Paul -  si vota solo per il Parlamento nazionale e dei singoli stati, gli amministratori locali vengono nominati dall'alto, è come se il Sindaco di Roma fosse nominato dal Governatore del Lazio. 


Sabato e domenica ho assistito ai Children Parliament Meeting, delle belle lezioni di Educazione Civica. Fanno parte dei progetti di Don Bosco Tharangam sul territorio locale per sensibilizzare i ragazzi sui loro diritti: ogni villaggio forma un'assemblea con uno Speaker, un Primo Ministro e quattro Ministri (Istruzione, Finanze, Lavori Pubblici e Sanità) e un numero variabile di "deputati". Si riuniscono una volta al mese nel villaggio e una volta ogni tre mesi qui alla Shelter Home per discutere le proposte e analizzare i risultati ottenuti. Il prodotto di tutto questo sta in alcune petizioni che i ragazzi portano ai "sindaci" e che sembrano avere riscontri positivi - se venti bambini ti fanno notare una cosa fai fatica ad ignorarla.

Dopo le presentazioni andiamo in un'aula del College, accompagnati da Father Arul Maren, carismatico Rector della Shelter Home: si comincia con il Parlamento di Mangudi. I ministri si alzano e salutano i deputati e l'uditorio, ringraziando il sottoscritto per la presenza (a seconda dell'occasione vengo ribattezzato Don Bosco, Cesvi, tomato e samosa). Segue una specie di giuramento (apparentemente sulla Costituzione, il tutto è in tamil quindi vado a naso) e l'inizio dei lavori. 

I ragazzi parlano delle proposte che hanno realizzato e delle nuove idee, come comprare un kit di primo soccorso per il villaggio o sensibilizzare i concittadini sulla necessità di un cestino. La nettezza qui sembra essere quasi solo urbana, i villaggi infatti sono pieni di spazzatura. L'umido lo gestiscono le capre, le mucche, i maiali e i cani che scorrazzano in libertà, per il resto nessuno sembra avere molto a cuore il problema. JP e il Father suggeriscono miglioramenti alla stesura dei verbali e chiedono chiarificazioni sulle proposte. L'assemblea si conclude con il canto dell'inno nazionale.

Durante le sedute ci sono anche dei momenti di canto e una ragazza di Pallur - il secondo villaggio di cui seguiamo i lavori - scoppia a piangere per timidezza, ne sono sollevato, non è perché la stavo fotografando. I ragazzi vogliono organizzare un evento di sensibilizzazione al villaggio sulla necessità di bollire l'acqua, molta gente si ammala perché non lo fa. A Thiruvallacherry invece hanno deciso di fare una petizione per migliorare l'illuminazione pubblica e perché nel loro villaggio il Governo non ha ancora messo il rubinetto (l'unico).

Seguo il tutto con molta attenzione, i ragazzi mi sembrano molto interessati, si vede che per loro è una cosa nuova Dopo un pranzo sotto gli alberi di mango in cui sottovaluto la piccantezza di un curry di pollo organizziamo con JP un triangolare di gioco del fazzoletto tra i villaggi che sembra riscuotere un buon successo, complice anche la folla in delirio a fare il tifo per i dieci prescelti.

Domenica i lavori proseguono con altri tre villaggi. A Periyakoothur hanno deciso di mettere su una specie di gruppo di lettura, a Eduthukatti di comprare una grande stuoia per il loro Supplementary Study Center che per il momento è ancora all'aperto, vogliono parlare con un prete per chiedergli gli spazi della chiesa allo scopo. Il Parlamento di Karamballam è l'ultimo arrivato, ma i ragazzi non sembrano meno agguerriti, anzi stanno preparando dei cartelli per organizzare una conferenza pubblica su alcolismo e droga nel loro villaggio.

Sperimentando le diverse attività sul territorio mi sto pian piano accorgendo della filosofia di fondo di tutto quello che ho visto fare qui: cercare di formare una generazione nuova, conscia dei propri diritti, con un sufficiente grado di istruzione per potersela cavare senza espedienti. Dare alla gente - in particolare ai ragazzi - gli strumenti per costruirsi da sola un futuro migliore in autonomia. In una parola, sviluppo.

domenica 26 settembre 2010

10. Scuole-2

Fra i vari progetti di Don Bosco Tharangam ci sono anche delle specie di aule studio nei villaggi. La settimana scorsa con Rosy e Suresh ne abbiamo visitate due. Arriviamo a Periyakoothur dopo il tramonto, troviamo una ventina di bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni che studiano seduti per terra dentro la sala "comunale" di fronte a una chiesa. In questi "Supplementary Study Centers" possono fare i compiti in un ambiente adatto allo scopo, anche perché a quanto ho capito per molte famiglie il fatto stesso che vadano a scuola non risulta del tutto naturale. Di 40 ragazzi in età scolare del villaggio, 27 frequentano questo posto, non male.

In realtà qui sono fortunati, in molti villaggi strutture del genere non esistono e la cosa viene fatta all'aperto. A Tihillaiyadivalliammainagar invece studiano 44 ragazzi. O meglio, aspettano di farlo. Il villaggio è immerso nell'oscurità alle sette di sera, power cut, siamo a lume di candela. Aspetteranno un po', se torna la luce entro mezz'ora bene, altrimenti tutti a casa. Anche qui alla Shelter Home c'è un'interruzione programmata al giorno dalle 8 alle 10, ma i blackout sono frequenti, sia con la pioggia che col sole.

Il buon Nataraj mi ha scarrozzato altre due volte nella zona di Poombuhar (mezz'ora buona di two-wheeler). La prima volta abbiamo visitato una scuola materna, l'Avvai Child Care Center, dove la mattina vengono dai 18 ai 25 bambini a imparare i rudimenti di Tamil, Inglese e Matematica (tabelline scritte sul muro), anche qui mi sparo tre belle sorsate di latte di cocco a km zero della palma fuori dalla scuola. Poi andiamo in uno dei Don Bosco Tailoring Center, dove 16 ragazze al mattino e 16 al pomeriggio imparano a riparare vestiti. Hanno tutte meno di 30 anni e sono contente di vedermi, mi mettono alla prova con un altro fiore ma ormai sono un pro e ci metto poco. Dopo un corso di 6 mesi andranno a lavorare nei Tailor Shop, guadagnando 1000 rupie al mese, 20 Euro. Andando in aziende a Chennai potrebbero guadagnare anche cinque volte tanto, ma quasi tutte non vogliono lasciare i villaggi.

La seconda volta, giovedì questo, siamo tornati alla scuola elementare di Pudukkuppam, quella del giorno del matrimonio, e ho girato un video. La struttura avrebbe bisogno di una bella sistemata, i giochi in particolare sembrano più lo sfondo di un pascolo che dei passatempi per bambini, Rosy mi ha detto che spesso devono ricordare al governo locale - che gestisce la scuola - di prendersene cura. Visito anche una sartoria dove lavorano due ex allieve del Don Bosco Tailoring Center.
Dall'altro ieri piove un po' più spesso e meno violentemente e Antoine si è preso un bel raffreddore (Finalmente non sono più l'unico). Nonostante questo mi ha accompagnato ad un altro Tailoring Center. Lungo la strada ci fermiamo in farmacia, si misura la pressione, ma non compra nessuna delle medicine prescritte, anzi continua a guidare fresco in camicia a maniche corte. 

A Sankarampantal incontriamo le donne che stanno facendo la pratica e ci tratteniamo per un'ora buona: ridono quando gli dico che in Italia molta gente non mette più (o butta) un vestito quando passa di moda o si rovina. Antoine cerca di convincerle a venire alla Shelter Home per il Training offerto dall'azienda di Chennai ma incontra molte perplessità, alla fine riesce a strappare qualche adesione. Mentre parla con loro osservo i visi, e vedo tanta luce nei loro occhi scuri. Mi sembra che abbiano una forza d'animo incredibile.

I giorni scorrono veloci, mi sto rendendo conto di cose cui non penso quasi mai, che la vita è cibo, lavoro, famiglia, relazioni sociali, sport. Che il tempo è fatto sì per essere riempito, ma con coscienza. Che spesso ci ho messo sopra tante, troppe, sovrastrutture e distrazioni per non riflettere, ma il nocciolo è questo, e mi chiedo: come si fa a migliorare?

mercoledì 22 settembre 2010

9. Madurai

Era nell'aria, Fratello Sagaya Raj, quello che mi era venuto a prendere a Chennai, me lo aveva detto lunedì mattina: devo comprare del materiale elettrico per il College, roba che qui intorno non si trova. Mentre mi sto brombando a giocare come alzatore (booster come dicono qui) alle quattro e mezza arriva la conferma: si parte, destinazione Madurai. Due domande sorgono spontanee: quando e quanti giorni stiamo via.

La prima risposta - tra due ore - mi coglie un po' di sorpresa, ma non come la seconda: chi ha parlato di più giorni? Si va, si prende quello che c'è da prendere (lui), si vede quello che c'è da vedere (io) e a casa. Mi piace, on the road. Prendiamo qualche chappati e un po' di ceci col sugo e andiamo.


Secondo Google sono 280 km, poco più che Padova-Milano. Andiamo in moto fino alla stazione di Mayiladuthurai, tre quarti d'ora, torcicollo, non troviamo l'amico che dovrebbe pigliare su il mezzo e lo molliamo al parcheggio della stazione. Il treno parte un po' in ritardo ma la cosa non mi tocca, troppo impegnato a guardarmi in giro. Regionale diesel, binario unico, nelle stazioni più grandi stiamo fermi anche mezz'ora, nessun problema come sopra.

Stazioni pulite, vagoni un pò meno, come dappertutto. Il treno non è molto affollato, la gente dorme stravaccata, le porte per scendere sempre aperte. Parlo con Sagaya dell'India, dell'Italia, della corruzione che qui pare regni sovrana e anche se nelle stazioni tutti mi guardano mi sento sempre più autoctono. A Thanjavur pago due rupie per andare in bagno, do 10, il mister fa finta di niente e devo chiedere il resto.

Arriviamo a Trichy quasi a mezzanotte, c'è un pezzo di strada a piedi per arrivare ai bus. Sul piazzale della stazione, disposte ordinatamente per file, almeno un centinaio di persone che dormono, peso sullo stomaco. Lungo la strada c'è ancora qualche saracinesca alzata ma la gente sta sbaraccando, quasi silenzio. Troviamo (non ho capito se per caso) un collega di Sagaya al college e guadagniamo un compagno di viaggio. Sedili del bus comodi e esageratamente reclinabili, riesco a rilassarmi bene, come al solito non a dormire.

Autostrada e poco traffico, nonostante una sosta benza appena prima dell'arrivo alle due e mezza arriviamo a destinazione, già prima di scendere odori pesanti mi investono: puzza di grande città, la seconda del Tamil Nadu, fumo, gas di scarico e urina, la gente la fa appena scesa nella canaletta a fianco alla stazione. Se la giocano otto tassisti, la spunta un pelato che sembra un cinese che ci porta sul suo risciò al quartier generale dei Salesiani in città. Anche qui gente che dorme, fuochi sui marciapiedi. Prendiamo scorciatoie, strade di terra quasi vuote, silenzio quasi irreale da queste parti. Mi danno la stanza del Padre Provinciale e mi butto a letto, finalmente al fresco, sono le tre del mattino.

Alle sette e mezza mi sveglio con la musica tamil e i riti del pre inizio lezioni dei college salesiani, ero stanco e ho dormito bene anche se poco. Mi butto due secchi d'acqua addosso e faccio colazione con Padre Francis, il Rettore del posto, che mi parla di quando è stato in Italia e a Padova. Conosco un po' di gente del posto e mi affidano a Partiban, un baldo studente del College che mi fa da guida turistica. La corsa in risciò per il tempio costa 80 rupie, traffico incasinato, Madurai è grande come Milano e la mattina non c'è meno casino.

Molliamo i sandali ad un mega deposito e visitiamo lo Sri Meenakshmi Temple, uno dei più grandi del Sud dell'India, torri interamente ricoperte di sculture di divinità del Pantheon indù, incensi, fiori e tanta gente. La leggenda narra che la bella Meenakshmi era nata con un tre seni e una profezia: ti libererai di quello di troppo quando troverai il tuo amante, che è Shiva, il dio della distruzione della trimurti indù.

Trovo anche qualche mio simile, due americane e due francesi, strana sensazione, non ne vedo da settimane. Spettacolare piscina con enorme fiore di loto dorato, impossibile accedere al sancta sanctorum per i non adepti, bell'incontro con un vecchio signore che mi sorride, mi chiede da dove vengo e mi dice che "what you find here is peace of mind, you cannot buy with one billion dollars".

Abituato al silenzio delle chiese faccio fatica a trovare il senso del sacro, non conosco niente di questa religione. Usciamo, visitiamo un mega palazzo comunale in stato di degrado avanzato e chiaccherando con Partiban ci facciamo una bella passeggiata per la città, negozi, lavori in corso, fumo, odore di cibi sconosciuti, ancora incensi, polvere e clacson.

Sono le undici e mezza e siamo ben oltre i trenta gradi, il sole picchia di brutto. Mi fabbrico un Gatorade con il Polase nella fida boraccia svizzera e mi proteggo con la bandana mother-sponsored. Partiban - 17 anni - mi dice che in India i gruppi di amici sono separati per genere, non ha amiche donne. Troviamo Sagaya, faccio rapido shopping, in moto al College e da lì in risciò alla stazione, dove con un euro ci sfondiamo di riso ed eventuali serviti su una foglia di banano.


Compro la n-esima bottiglia da litro d'acqua e zompo sull'autobus per Thanjavur, è l'una e mezza. Questo è un bus più popolare, meno spazio per le gambe ma più per il casino, gente che sale e scende di continuo, venditori di ogni tipo di frutta o arachidi che girano per il piazzale, nei villaggi che attraversiamo anche gente che viene a vendere sul bus scendendo al volo. Andiamo lenti, prendiamo anche un po' di pioggia. Siamo a Thanjavur alle cinque e tre quarti, continuo a bere, sonno, caldo e freddo alternati. Prendiamo un bus più veloce, il cui autista non sembra non curarsi della presenza di bumper dolomitici, siamo seduti dietro e ci facciamo dei bei salti. Nessun sedile misto e video musicali tamil in tv.

La vescica è in crisi ma grazie a un bell'ingorgo di un quarto d'ora vado in bagno dietro l'angolo e rinasco. Arrivati a Mayiladuthurai alle otto e un quarto, dopo 25 ore, 14 di viaggio e 4 di sonno, mi sembra di essere andato a bruscandoli. Seduto dietro in moto guardo la campagna e le palme riflesse nelle risaie illuminate dal chiarore della luna quasi piena, che proietta anche un'aureola rosa sulle nuvole ormai innocue. Sono stanco, sporco, distrutto. Ma non mi sento né stanco, né sporco. Mi sento vivo.

domenica 19 settembre 2010

8. Metà

Al giro di boa di un'esperienza, un cammino, di qualsiasi cosa con un orizzonte temporale finito, il tempo si assottiglia, cominci a contare i giorni alla rovescia. È così anche per me. In queste due settimane ho scoperto tante cose che non sapevo, ho visto tante persone che non conoscevo, ho tenuto attivo il corpo e soprattutto la testa stando insieme a gente con cui sono entrato quasi subito in sintonia. In molte cose non mi trovo ancora, al clima e alla folla ho dovuto abituarmi e ci sono quasi riuscito. Sono arrivato più o meno a metà anche con i nomi dei ragazzi, ho capito perché i prof ci facevano mettere i cartelli sui banchi e non volevano che cambiassimo posto. Oggi sono riuscito a fare breccia nell'organizzazione militaresca dei Salesiani e a mettere qualcosa di mio dentro questo posto.

La mattina ho insegnato ai ragazzi, con l'aiuto di uno studente del College che è stato ottimo grafinterprete alfabeto italiano -> tamil, una canzone italiana, una delle prime che mi avevano insegnato alle elementari, Alla fiera dell'est. I pregressi studi musicali mi hanno dato una mano nel cercare di insegnare in italiano le prime sei strofe, e la forma della canzone ha favorito la scrittura, bastava aggiungere versi sopra quello iniziale. I ragazzi mi hanno seguito, e questo per me è già qualcosa, Fratello John Paul è stato d'aiuto nel spiegargli che cosa volevano dire le parole e per tenerli a bada. 

Ovviamente c'era chi si faceva i cavoli suoi perché avrebbe voluto fare altro, ma c'erano tante facce interessate e comunque si sentiva l'entusiasmo per imparare cose nuove. Sarebbe bello se riuscissimo a inserirla in un Awareness Program in qualche villaggio che visiterò le prossime due settimane. Il pomeriggio ho raffazzonato in mezz'ora tra un poliziesco tamil e il loro bagno un torneo del gioco del fazzoletto con 4 squadre, girone all'italiana e finale.


Tra un mese comincio il Dottorato, a Berlino ci sono 15 gradi adesso, qui che è già sceso il sole da un'ora quasi il doppio. Ho ricominciato a pensare all'Europa, ai suoi ritmi, alle cose da fare, all'autunno che qui non arriva mai, al futuro, inaspettata è arrivata anche un po' di nostalgia, sono pur sempre a diecimila chilometri da casa. Tutti dicono: questa esperienza ti cambierà la vita. Non lo so, per il momento sta facendo una grande cosa: mi sta facendo pensare, sta attivando la mia intelligenza emotiva in modo sensibile. Sto riflettendo su quello che sono stati i miei ultimi anni, specialmente quello appena passato, i miei errori, i miei difetti e i miei pregi relazionandomi con persone con cui ho solo da guadagnare. Ripensando alle scelte, soprattutto a quelle sbagliate, quello che viene fuori non sono rimpianti né rimorsi, cerco di capire il perché delle cose e molto spesso lo trovo, anche in quei 15 gradi.

7. Casa

La Casa è una specie di cattedrale nel deserto, nel senso che credo che sia il più grande edificio privato interamente in muratura nel raggio di qualche decina di chilometri. All'interno, attorno a un bel chiostro con in mezzo un campo da badminton, al piano di sotto ci sono gli uffici e le stanze dei due Padri, due aule studio-mensa più la sala da pranzo dei grandi e una grande sala per ricevimenti e eventi vari. 
Al piano di sopra i dormitori dei ragazzi della Shelter Home e degli studenti del college che dormono qui, l'aula di sartoria, gli appartamenti dei tre Fratelli e altre stanze varie tra cui la mia.Fuori, qualche ettaro di terra sabbiosa cinto da vegetazione tropicale, 3 campi da pallavolo, due porte da calcio, un parco giochi-aia per oche, papere e conigli e pure trave e parallele. 






La settimana scorsa c'è stata festa mercoledì (cristiana, fine delle celebrazioni per la Madonna di Vellankanni), venerdì (musulmana, fine del Ramadan), sabato (indù, boh), quindi non ho avuto esperienza di una vera quotidianità, molti dei ragazzi sono tornati ai loro villaggi per le feste. 


Da questa settimana è ricominciato il tran tran: scuola 9.30-16.30, poi si torna a casa, calcio e pallavolo fino alle 18, studio, cena, preghiere e a letto.
In tutto questo, tra una partita 20 contro 20 a piedi nudi in un campo da calcio di sabbia e gare di trazioni alla trave dopo scuola, le mie mattine passano tra lezioni-ripetizioni ai non formal students - che non hanno superato gli esami e vengono a studiare qui - visite ai villaggi e ricami vari.

A proposito, la cucina. Occupa tre stanzoni (tra Shelter Home Boys, studenti del college e personale vario qua dentro vivono un centinaio di persone) e qualcosa bolle sempre in pentola: il concetto di cibo crudo, frutta esclusa, non esiste. Ogni pasto è fatto di cereali e/o derivati più intingoli sugosi e verdure, qualche volta c'è pollo o pesce. Il riso la fa da padrone, insieme a delle deliziose crêpes di farina di riso, i dosai. Ci sono poi delle altre crêpes di grano, i chappati (che ieri ho cucinato), che si mangiano con un curry ocra con i ceci. Il massimo si raggiunge con gli idli, una specie di panini di farina di riso lessati nell'acqua, davvero ottimi sia col dolce che col salato. 
L'unica cosa che davvero non mi piace sono i piccoli frutti tipo giuggiole che i ragazzi mi offrono ogni mattina dagli alberi, legano la bocca peggio di una cassa di cachi in settembre. Tutto si mangia con le mani, anzi con la destra (la sinistra serve per il bidet) e la cosa ha un senso, d'altronde più un miliardo di persone mangia così, e non solo perché le posate costano. Con le mani puoi prendere il riso bianco e intingerlo nel sugo piccante, con la forchetta è impossibile, con il cucchiaio benvenuto imodium. All'inizio è strano, fai fatica, ti sporchi le mani e il viso in maniera invereconda, ma quando capisci come fare viene quasi naturale. 

Ormai sono "nomade" da più di tre anni, faccio fatica a dare un senso al concetto di casa, anzi molto spesso ho provato il senso di sradicamento, soprattutto nell'ultimo periodo, un trasloco dietro l'altro. Dopo due settimane qui mi sento a casa, ho preso le misure, lo sento mio come posto perché lo vivo, non lo uso. 

Allo stesso modo, chissà come deve essere strano per questi ragazzi vivere in una casa con la famiglia due villaggi più in là, spesso vedo la nostalgia nei loro occhi, o forse è semplicemente dolore per un passato o un presente che questa quotidianità di scuola giochi e studio vuole sostituire, e fortunatamente lo fa bene. Non mi piace aprire a Natale la cassetta della posta e trovare le cartoline con il bambino africano denutrito sbattuto in copertina. Leggere la prima sera nello sguardo di uno di loro la tristezza, quella vera, mi ha fatto venire i brividi - fisicamente.

venerdì 17 settembre 2010

6. Monsoon Wedding

Tutto quello che si pensa dei matrimoni indiani è vero, al cubo. Sono colorati e incasinati. Giovedì si è sposata Amul Jyothi, una ragazza di 22 anni che lavora qui alla Shelter Home. La data non è scelta a caso, ci sono solo tre o quattro giorni propizi al mese per sposarsi. Lo stesso vale per gli sposi: se i due oroscopi non vanno d'accordo, bye bye. La sera prima la sua famiglia ha offerto la cena alla famiglia dello sposo (escluso), poi lei è andata a dormire a casa di lui, stanze separate. Il fortunato si chiama Lakshimanam, classe '81.


La mattina arriviamo a Poombuhar sulle dieci, in questa specie di mega sala adibita a vari riti indù. Di monsone neanche l'ombra, sole pieno e 30 gradi, per fortuna la cerimonia è al coperto. Musicanti in azione su un palco, brahmino che gioca col fuoco sull'altro. Platea folta, uomini da una parte donne dall'altra. Lo sposo riceve gli ospiti in polo, visibilmente agitato mentre la sposa è impegnata nel make-up in una delle due stanze dietro il palco. 

In mezzo, davanti al brahmino, due anfore bianche e una arancione più alta e sinuosa (l'utero) con sopra una noce di cocco (il seme maschile) e una pianta (la fertilità). A lato trionfi di frutta sorvegliata da uomini dallo status non ben definito, un mini tempio con edicola a fare da sfondo, fiori ovunque. Cameramen e fotografi in quantità, mi sembra un grande show. 

Funziona più o meno così. Prima lo sposo e poi la sposa si siedono da soli con una corona di fiori in testa, e ogni membro delle rispettive famiglie si mette in coda, gli toglie la corona e gliela rimette, mentre il brahmino continua a trafficare attorno al focolare e poi fa fare qualcosa agli sposi su cui né io né loro sembriamo molto preparati.

Poi si siedono tutti e due, con la madre dello sposo a sorvegliare il tutto da dietro l'edicola. Si alzano, fanno tre giri attorno al fuoco e all'anfora mano nella mano con brahmino e familiari stretti. Si scambiano le corone di fiori, la musica sale e tutti buttano riso e petali: è il momento clou. Mi metto in coda anche io con gli altri invitati, prendo del riso dal piatto ai piedi degli sposi e gliene getto tre manciate. Ora sono visibilmente più rilassati e la sposa si lascia scappare anche qualche bel sorriso.

Non ho capito nulla di quello che il brahmino ha detto e fatto, ma il senso del rito è quello, due famiglie che si uniscono per dare vita a nuova vita. C'è molta apparenza, come in ogni matrimonio, e c'è tanta India, musica assordante e tanta gente. Bello il riso in comune col nostro matrimonio. Auguri e figli maschi, ma anche no, sono in uno dei paesi con meno donne al mondo, 933 ogni mille maschi, tanto che è - teoricamente - vietato sapere il sesso del nascituro.