mercoledì 6 ottobre 2010

17. Chennai-2


Rientriamo in ufficio e ho appena il tempo di cambiare camicia che si esce. Sono stato affidato al fido Mutiya (grafia non confermata) con cui passerò quello che mi rimane da passare in India. Usciamo con la macchina del Cesvi e andiamo a fare un giro in una spiaggia piuttosto animata. In realtà il programma per la serata cambia di minuto in minuto anche perché lui viene dal limitrofo Andhra Pradesh, e della calata inglese che ho imparato a capire nemmeno l'ombra.

Chennai è enorme, e assomiglia molto a una grande città europea, sarà che la domenica sera è il punto di minimo assoluto del traffico settimanale. Grandi sopraelevate, vialoni, da quello che vedo nel buio mi sembra piuttosto coloniale. In spiaggia dobbiamo sgomitare per trovare parcheggio, qui di macchine ce ne sono davvero tante, la campagna sembra già un ricordo. Vedo coppie mano nella mano sulla spiaggia, ragazze in maglietta, pantaloni corti. Abituato a sari dalle spalle alle caviglie è uno shock.

Alle sette il movimento si sta riducendo, comunque è ancora pieno di banchetti che servono pesce pannocchie bibite gelati, chiromanti a un euro a previsione e gente che ti pesa per due rupie. Sulla battigia la gente fa il bagno, sarebbe vietato, infatti stanno entro cinque metri, pare ci siano vortici e altre amenità. Abituato a nuotate chilometriche sarebbe strano non poter fare il bagno nel posto dove abito, ma è anche la prima volta che vedo la battigia di un oceano.

Facciamo un giro verso delle succursali delle cattedrali di Velankanni e poi fino a un tempio indù che però troviamo già chiuso. In mezzo negozietti e donne che vendono pesce fresco o fritto e negozi di souvenir religiosi. Mi sento sempre di più in un altro posto, la città mi sembra molto più avanti, è un salto nel tempo.

Sulla strada nel ritorno cinque o sei telefonate in tamil di Mutiya si trasformano in un incontro parzialmente programmato con Brother Maria, un salesiano dalle spalle larghe che sta nella Don Bosco Shelter Home e studia al Polytechnic College ma è di Chennai. Appena incontrati a Tharangambadi ha iniziato a farmi un sacco di domande e io allora ho ricambiato. Da lui ho imparato che in India ci sono trenta stati con trenta lingue e trenta alfabeti diversi, l'inglese è lingua di scambio, però è strano pensare a me che devo parlare inglese con un lombardo.

Ha provato a farmi capire che cosa unisce una nazione che non condivide né un'unica lingua né un'unica religione, lui ha studiato a Kolkata e in Assam e lì parlava sempre inglese. Mi ha parlato delle meraviglie dell'India e del fatto che è come un mondo in miniatura, da zero a ottomila metri di altitudine, con tutti i climi possibili, pensare all'Himalaya mentre morivo di sudore è stato piacevole.

Con lui dopo un pit stop per benzina e gonfiaggio gomme andiamo in un buon ristorante di cucina dell'India del Nord. Famiglie ricche, ambiente retrò, aria condizionata a palla e commedia in televisione. Con cinque euro mi sfondo di focaccine con chicken masala e un altro sugo vegetariano fatto col formaggio, condito con yogurt e scalogni crudi e un peperoncino verde che decido di lasciare ai posteri - solo l'anice mi salva da un'incipiente bruciore di stomaco in fine d'India.

Dopo cena andiamo a Marina Beach, che si staglia per vari chilometri di lunghezza di fronte a un lungomare a tre corsie. Quello che mi sorprende di più è però la distanza dalla strada alla battigia - camminiamo per cinque minuti buoni, almeno trecento metri. Alle dieci di sera è tutto deserto, gli ultimi rivenditori di fritti stanno sbaraccando e a riva non c'è nessuno, tranne la gente che ci dorme. Maria mi dice che il governo ha delle case popolari fuori dalla città ma spesso chi non ha dove abitare preferisce vivere peggio in centro per non dover fare ore di strada per andare a lavorare.

Lo tsunami si è fatto tutta questa spiaggia, faccio fatica a pensare a cinque metri di acqua - primi piani delle case sommersi - che spazza via in due minuti automobili case animali persone. Facciamo un pezzo di lungomare in macchina, puzza di pesce, capre e gatti che rovistano nelle casse dei pescatori al largo.

Torniamo al Cesvi e ci rilassiamo per un'ora, mi siedo e mi fermo a guardare il calendario nell'ufficio di Rosy con le massime come quelle che trovavo fuori dalle chiese e dai templi, l'ultima foto che scatto prima che finisca la batteria forse non è casuale. Quando le ruote dell'aereo si staccano dall'India alle quattro e mezza del mattino sono troppo stanco per pensare a qualsiasi cosa, tranne al fatto che sento che quello che sto per fare è un viaggio di andata, non di ritorno.

martedì 5 ottobre 2010

16. Tharangambadi - Chennai

Domenica mattina mi sveglio all'alba assonnato, forse emozione. Vado da Brother Albert che mi ridà la macchina e scarico le foto di Ooty, alcune davvero belle. Prendo il mio tempo per riguardare la casa, ripercorrere con le gambe e con la testa i percorsi di quattro settimane, respirare l'aria umida di campagna dopo la pioggia.

Partiamo alle undici e mezza, i ragazzi mi coprono di doni e c'è anche un commiato in italiano, davvero bello. Ho troppo casino in testa, quando incrociamo Vijay sul cancello, esco dall'auto e lo saluto è davvero dura. Joseph alla guida e il Father che ronfa nel sedile dietro. Sono tornati dalla montagna alle sette del mattino e ora di nuovo on the road, non credo che il mio fisico me lo avrebbe permesso. Joseph è stanco e taciturno e (non) si sente, è molto triste che io me ne vada e anche io lo sono, anche con lui si è creato un bel rapporto, persona semplice e limpida.

In due ore e mezza arriviamo a Pondicherry, dove ci fermiamo per il mio farewell lunch a mangiare in un ristorante super lusso, camerieri in livrea. Al piano di sopra buffet con turisti bianchi di varia estrazione, molti francesi, Pondy è una ex colonia francese ora stato a parte dentro al Tamil Nadu. Scendiamo al piano interrato e ai tavoli apparecchiati del ristorante à la carte ci sono un po' di ricche famiglie indiane dalla pelle più bianca di quella a cui sono abituato. Discutono tra loro in inglese mangiando con cucchiaio e forchetta, mi sento fuor d'acqua.

Con cinque euro a testa ("un po' caro" secondo il Father) ci pappiamo una foglia di banana con riso e verdura agnello pesce yogurt cipolle patate fritte. Prendo in mano la forchetta e non so cosa farmene, questa roba si mangia con le mani, forse è solo che non voglio andare via. Pallina di gelato a fine pasto e si riparte.


Il Father dà il cambio alla guida della Bolero XL e ha un bel daffare a gestire l'ira di qualche dio locale che si scatena poco dopo l'ingresso in una nuova autostrada a due corsie. Autostrada all'indiana, strisce pedonali, incroci a raso, camion sempre a destra, carri in contromano, mucche capre maiali che attraversano la strada. Dopo la pioggia cielo bellissimo blu, penso all'inverno qui e penso che deve essere meraviglioso.

Il traffico della domenica pomeriggio è light, comunque nei villaggi e ai caselli si formano dei bei tappi, prima delle cinque e mezza non riusciamo ad arrivare. Entro nell'ufficio del Cesvi e mollo i due zaini, faccio una chiacchierata con Rosy in cui parliamo di questo mese, della mia esperienza, dell'India, dell'Italia, di quando è stata a Singapore e le persone le sono sembrate vivere ognuna per e con se stessa, ahia.

Alle sei e un quarto lei e Suresh tornano verso Sud, si fanno una settimana a visitare le attività di Don Bosco Tharangam e un'altra ONG. È arrivato il momento di salutarci, è dura ma è così. Mancano dieci ore al mio volo e non dormo da dodici, non immagino la sera che mi aspetta.

sabato 2 ottobre 2010

15. Tramonto

Giorno prima della partenza, festa nazionale, compleanno di Gandhi. I ragazzi sono a Ooty, molti del college sono andati a casa per il fine settimana, c'è solo Brother Sagaya Raj a fare la guardia. Trovo il tempo di scrivere e soprattutto di pensare a quello che ho fatto in questo mese qui, stamattina ha piovuto, credo stia davvero arrivando il monsone di Nord-Est, ormai non è più caldo, me ne accorgo la sera quando esco dopo tanti giorni costretto in casa dagli acciacchi.

Alle cinque e mezza l'aria è tersissima, sembra di vedere sulla punta del naso i nuvoloni bianchi grigi neri e blu che si rincorrono nel cielo sopra le palme tonde. A piedi nudi attraverso i campo di pallavolo e quelli da calcio misurando i passi nella sabbia ocra compattata dalla pioggia, ripenso alle sudate, alle corse, a questo mio mese che rimane su questa sabbia e passerà con la prossima partita di calcio, mescolandosi con le vite di tutti quelli che hanno calpestato questo campo.

Ascolto il silenzio rotto dai merli, dai clacson e dal vociare degli uomini che nonostante la festa rientrano dal lavoro nei campi. Il cane bianco della casa si alza, mi guarda, si gratta. A metà campo mi giro verso la casa e trovo un arcobaleno che copre un quarto di cielo tra due nuvole, brividi. Due scoiattoli si rincorrono su un ramo dei grandi alberi di mango.

Continuo a camminare, mi sembra di sentire la terra che calpesto, attraverso un fossato vicino al pozzo e arrivo alla fine del giardino. Dietro la statua della Madonna con il Bambino una capra zoppa delle gambe anteriori bruca l'erba nella scacchiera di filo spinato che delimita il confine, altre due più a lato vicino alla riva di un laghetto forse artificiale o forse no.

Torno indietro per la stessa strada, sento solo me stesso nel silenzio del tramonto, già pestando i sassi più duri della stradina davanti alle mie ciabatte mi sembra di uscire da un sogno. Daniel, uno studente del College, mi accompagna a Tharangambadi a prendere 50 gova, un frutto buonissimo. Domani ne darò uno ad ogni ragazzo. Inizia a piovere, sotto il cappuccio della giacca a vento guardo per l'ultima volta questo crepuscolo che si specchia nelle risaie rigate dalle gocce d'acqua, guardo l'umanità che gira per i paesi, torna dal lavoro, guida, va al tempio, in chiesa in moschea, le mucche assiepate ai lati della strada.

La sera dopo cena ripercorro i miei passi, mi stendo in mezzo al campo da calcio e guardo da sotto in su un cielo che mi sembra grandissimo, pezzato dalle nuvole vuote dopo la pioggia, e pieno, le stelle che fanno capolino sembrano spilli chiari piantati in un enorme cuscino blu. La polare è troppo bassa qui, infatti non la vedo. Credo di averla trovata dentro di me però, mi sento parte di questa armonia, nel mio elemento. 

14. Donne

Nella Shelter Home ci sono solo ragazzi, ma di donne e bambine ne ho viste tante, nelle scuole, nelle sartorie e per strada, sedute con tutte e due le gambe da una parte dietro a un uomo sui two-wheeler ma anche guidatrici. Il dress code qui nel Tamil Nadu prevede spalle coperte e gambe idem fino alle caviglie. Tutte hanno il Saree o Sari (Hindi) o Putavai (Tamil), un vestito oggi tipicamente di fibra sintetica, anche se nel Tamil Nadu sono rinomati per la produzione di quelli di seta. Pinzata alle spalle una sciarpa che forma una U davanti al seno. Gioiellame vario e spesso mani decorate (non ho capito se c'è qualche significato o è solo estetica). Non ho mai visto capelli non intrecciati, e quasi sempre con strisce di bei fiori bianchi o colorati appesi (solo le vedove non li mettono).

In una delle gite a Poombuhar con Nataraj siamo stati ospiti di 3 suore che sono arrivate qui dopo lo tsunami quattro anni fa. Davanti a un buon latte macchiato tè (qui lo lasciano in infusione 20 minuti, il primo giorno ho provato a berlo puro e per poco non sputavo in faccia a uno) ho parlato con Sister Sahaya, 34 anni, della loro attività. Hanno creato dei gruppi di auto-aiuto per le vedove, Poombuhar è villaggio di pescatori e vivevano tutti sulla costa. Mi ha detto che la condizione femminile sta migliorando, le donne chiedono pari diritti e c'è maggior consapevolezza. Nonostante questo le donne che si sposano devono ancora portare in dote beni anche per otto o diecimila euro, l'analfabetismo femminile è al 50% e la fecondità rimane alta, 3-4 figli per donna. In India il divorzio è legale ma i numeri sono tra i più bassi del mondo, la stigmatizzazione della comunità - soprattutto in campagna - si fa sentire.

Su questo Sahaya mi dice che è stata creata awareness - solo 10 anni fa i figli erano 8 o 10 di media qui nelle campagne - e ora le donne sembrano essere informate anche sui problemi dell'AIDS, la cui prevalenza fortunatamente non è altissima, e sul controllo delle nascite. In realtà la pianificazione familiare consiste in un intervento chirurgico dopo il terzo figlio, la contraccezione non sembra nota. Dopo lo tsunami le donne si sono ritrovate con debiti enormi da pagare senza nessuno in casa che lavorasse. Alcune ONG, tra cui queste suore, hanno prestato un po' di soldi a questi gruppi per comprare animali e pagare affitti, i soldi sono stati recuperati poco a poco e sono stati concessi prestiti maggiori e così via, microcredito insomma. Hanno anche messo su degli ambulatori nei villaggi per migliorare la situazione sanitaria, e spesso prestano soldi a gente che deve curarsi, le cure ospedaliere sono molto care, il governo copre solo le operazioni più gravi. Mi piace il loro convento, c'è silenzio ma è sempre India, fumi dalla cucina, pavimenti ruvidi sulle piante dei piedi nudi e scarpe fuori dalla porta.

L'altro ieri Joseph mi ha fatto provare la jeep nel cortile della Casa, poi a suon di bitonali abbiamo attraversato un po' di villaggi e siamo tornati a Eduthukatti dove c'è un altro convento, questa volta di Salesiane. Accetto volentieri un altro tè macchiato coi biscotti e mi faccio un giro per il loro splendido giardino con campi di riso e fiori. Sister Teresa mi dice che non riescono a starci dietro, insegnano nella loro scuola qui al villaggio, 100 studenti e loro sono in quattro. Mi dice che i problemi maggiori del posto sono, come ormai so, povertà e alcolismo. Negli ultimi 4 anni hanno favorito la scolarizzazione nel villaggio e anche qui c'è un piccolo ambulatorio. In una stanza alcuni dei bambini che ho visto domenica al Children Parliament Meeting mi fanno vedere le prove di un ballo che stanno preparando per un awareness program.

Nella società vedo profondo rispetto per le donne, almeno in pubblico, sugli autobus nessuno si sogna di fare sedili misti, e anche se molte hanno chiesto di farsi fotografare come i maschi, mi sono reso conto che la discrezione è sacra. D'altronde qui il presidente della Repubblica è una donna e a giudicare dalla composizione per genere dello staff di Don Bosco Tharangam e da quello che capisco mi sembra che nelle grandi città la situazione sia sulla buona strada. 

Al ritorno siamo passati da casa di un amico di Joseph campione di sollevamento pesi e poi anche da casa sua, ha una bella famiglia con due bambine. Tra le varie cose che ho un po' recuperato stando qui c'è il senso di famiglia come portante della società, studiando lontano da casa e vivendo con amici perdi la nostalgia, impari tante cose ma perdi anche il senso della vita familiare, che qui nella Casa per fortuna per i ragazzi si respira a pieni polmoni.

venerdì 1 ottobre 2010

13. Riunioni

Non ho figli, ma penso che se ne avessi smarrirne non sia una bella esperienza. La settimana scorsa c'e' stata qui alla Shelter Home una bella riunione con 7 ONG operanti nel Distretto di Nagapattinam in cui Father Maren ha illustrato il progetto HomeLink con l'obiettivo di illustrare i contenuti e convincerle a collaborare. Il Power Point e tutta la baracca erano in Tamil, ma il fido John Paul mi ha dato una mano con un po' di traduzione simultanea. Ogni giorno, secondo la Polizia del Tamil Nadu, in questo Stato scompaiono 12 bambini (media annuale 1996-2001), anche se pare che nell'ultimo decennio ci sia stato un incremento. Ovviamente ai dati vanno aggiunti  tutti i casi non catalogati, circa un quarto di quelli emersi. Leggendo un articolo su "The Hindu" scopro che la cifra aggiornata pare sia di 5 bambini scomparsi ogni ora in India. HomeLink è un progetto coordinato dai Salesiani in tutta l'India che vuole creare una rete di Centri per la raccolta dei dati sui bambini scomparsi.

È stato lanciato due anni fa, partecipano 13 Stati dell'India e 80 ONG. Nel database sono stati raccolti finora i dati di più di trentamila bambini, e nel 2010 grazie a questo strumento ne sono stati ritrovati già 269. A fianco del sito riservato alle ONG è in funzione infatti anche missingchildsearch.net, un sito pubblico in cui chiunque smarrisca o ritrovi un bambino può cercare corrispondenza nel database. La maggior parte dei bambini scompare perché scappa da una casa spesso in campagna verso le grandi città a causa di problemi familiari, ma ci sono anche casi di rapimenti e di traffici di bambini per scopi agghiaccianti, come ho letto in un bel (se si può definire bello qualcosa riguardante questo tema) libro prima di venire qui.

Dopo le iniziali presentazioni, una delle partecipanti parla di quello che il Governo sta facendo per migliorare la condizione dell'infanzia, e qualcosa si sta muovendo: i politici si sono dati delle scadenze per costruire nuove scuole e per abolire le punizioni corporali agli alunni e convocare i genitori in caso di problemi. Ci fa alzare tutti in piedi e comincia a fare delle domande, chi è pro si sposta da una parte della stanza, chi è contro dall'altra. Alcune mi risultano scontate (fino a 14 anni i genitori dovrebbero lasciare che i figli vadano a scuola?), altre molto meno (si è "child" fino a 14 o 18 anni? Solo il governo o anche altri soggetti dovrebbero prevenire i crimini commessi contro i bambini?). L'esperimento mi piace, ma faccio fatica a decidere se devo ragionare da italiano o no. Come mi sono accorto stando qui, molte cose a me ovvie in realtà non lo sono per niente. Alla fine un signore mi chiede conto della situazione in Italia sul tema, io ne so poco, mi limito a dire che l'impressione è che i numeri siano più limitati e che comunque chi di dovere di solito si occupa di queste cose (neanche questo è scontato e infatti qui sembra non accadere).

L'altro ieri invece riunione di tutto lo staff di Don Bosco Tharangam, la mattina John Paul ha tenuto un seminario si formazione sul tema cultura dei media vs. cultura sociale con proiezione di materiale vario. La pubblicità sta allungando le sue grinfie di prepotenza anche qui, e con un televisore in ogni casa gli operatori sociali hanno un bel daffare a convogliare i loro messaggi tra la gente. Anche qui tutto in tamil, ma un foglio in inglese mi chiarisce qualcosa e mi pare molto attuale e interessante.

Al pomeriggio ognuno attacca al muro uno schizzo del villaggio di cui si occupa e il Father mi chiede di dirgli i tre migliori. Imbarazzo e incompetenza per la successiva mezz'ora che impiego ad analizzare i progetti. Segue rendicontazione mensile dei lavori svolti e conclusioni in cui ringrazio per l'accoglienza. Fare ricerca e scoperta qui mi sta piacendo e mi sorprendo ad aver sempre più voglia di Berlino, di altre ricerche e altre scoperte.