domenica 12 settembre 2010

4. Villaggi

Dopo ciao e grazie, le prime parole che ho imparato in tamil sono i numeri [sono pur sempre un (ingegnere) matematico]. O almeno uno dei cento modi in cui possono essere pronunciati. Cosi' tra giovedi' e sabato ho fatto il giro di un po' di villaggi e mi sono fatto un'idea di come vive la gente. Il mio primo Cicerone e' il simpatico Antoine, che per prima cosa mi ha, manco a dirlo, invitato a casa sua per uno spuntino mezz'ora dopo colazione. 


A Budanur ci accolgono donne e ragazze (uomini al lavoro e bambini a scuola), che come ovunque mi mettono sulla spesso unica sedia di plastica della casa. I soffitti sono fatto di foglie di palma, quando piove e il tetto non tiene si va in un'altra casa. Un contadino guadagna 200 rupie al giorno, e lavora circa una decina di giorni al mese, le donne che lavorano 70 rupie. Siccome a me piace fare i conti, una famiglia di queste vive se va bene con 70 Euro al mese, e spesso i figli sono piu' di cinque. Si dorme per terra, tutti in una stessa stanza, spesso uomini e animali insieme, di media in dieci metri quadri. Non esistono bagni. Il governo del Tamil Nadu ci mette una televisione (per ogni casa) e un rubinetto (per tutto il villaggio). Un chilo di riso governativo (che ad Antoine non piace ma che a me sembra normalissimo) costa una rupia, in negozio 30. Un litro di latte fresco di mungitura 13 rupie, in negozio 27. 


Ci sono poche case con i muri di mattoni (la maggior parte ce li ha di terra), pochissime con un tetto non vegetale. In tutto questo la cosa che mi colpisce di più è il calore e la gioia con cui vengo accolto. 


Di sera andiamo in altri villaggi per un awareness program: i bambini della Shelter Home cantano e ballano (hanno una voce straordinaria) e lo staff parla delle attività. Credo serva a far capire alla gente che esiste un mondo anche al di fuori del loro villaggio. La venuta di uno straniero è davvero un evento, tutti mi salutano e mi vogliono stringere la mano, io rispondo unendo le mie al petto, ricevo spesso un sorriso di sorpresa. 

Venerdì, sulla strada per Pitthakkattalai, visito un tempio indù con elefante incorporato. Al villaggio scopro che alcuni adulti hanno fatto le elementari, ma un abitante su due (quando va bene) sa solo mettere la sua firma su un foglio letto da qualcun altro. Qui vive anche Madavan, un ragazzo della Shelter Home. Ha perso la madre e il padre, 42 anni che sembrano molti di più, vive con i due fratelli in una casa fatta di una sola stanza. 

Incontriamo un contadino che con abile mossa di tree climbing ci fa pervenire due noci di cocco (che scopro essere verdi, contrariamente a quello che fin da piccoli ci fa pensare il dessert in pizzeria) di cui bevo il latte. 

La sera andiamo ad Eduthukatti, ma a metà spettacolo arriva il monsone violento e si sbaracca, approfittando della adiacente chiesa nuova di trinca. Mi sto abituando al contatto fisico con le persone, ma acquisiti i dati non ho ancora capito dove trovino la forza  di andare avanti, né come riescano ad offrire il cibo che a loro stessi manca ad una persona che nemmeno sanno chi sia.

2 commenti:

  1. Ciao Tom!
    Leggo solo ora del tuo viaggio. Sono contento di questa tua scelta e curioso di conoscere come vivrai quest'esperienza.

    Paolo

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