mercoledì 22 settembre 2010

9. Madurai

Era nell'aria, Fratello Sagaya Raj, quello che mi era venuto a prendere a Chennai, me lo aveva detto lunedì mattina: devo comprare del materiale elettrico per il College, roba che qui intorno non si trova. Mentre mi sto brombando a giocare come alzatore (booster come dicono qui) alle quattro e mezza arriva la conferma: si parte, destinazione Madurai. Due domande sorgono spontanee: quando e quanti giorni stiamo via.

La prima risposta - tra due ore - mi coglie un po' di sorpresa, ma non come la seconda: chi ha parlato di più giorni? Si va, si prende quello che c'è da prendere (lui), si vede quello che c'è da vedere (io) e a casa. Mi piace, on the road. Prendiamo qualche chappati e un po' di ceci col sugo e andiamo.


Secondo Google sono 280 km, poco più che Padova-Milano. Andiamo in moto fino alla stazione di Mayiladuthurai, tre quarti d'ora, torcicollo, non troviamo l'amico che dovrebbe pigliare su il mezzo e lo molliamo al parcheggio della stazione. Il treno parte un po' in ritardo ma la cosa non mi tocca, troppo impegnato a guardarmi in giro. Regionale diesel, binario unico, nelle stazioni più grandi stiamo fermi anche mezz'ora, nessun problema come sopra.

Stazioni pulite, vagoni un pò meno, come dappertutto. Il treno non è molto affollato, la gente dorme stravaccata, le porte per scendere sempre aperte. Parlo con Sagaya dell'India, dell'Italia, della corruzione che qui pare regni sovrana e anche se nelle stazioni tutti mi guardano mi sento sempre più autoctono. A Thanjavur pago due rupie per andare in bagno, do 10, il mister fa finta di niente e devo chiedere il resto.

Arriviamo a Trichy quasi a mezzanotte, c'è un pezzo di strada a piedi per arrivare ai bus. Sul piazzale della stazione, disposte ordinatamente per file, almeno un centinaio di persone che dormono, peso sullo stomaco. Lungo la strada c'è ancora qualche saracinesca alzata ma la gente sta sbaraccando, quasi silenzio. Troviamo (non ho capito se per caso) un collega di Sagaya al college e guadagniamo un compagno di viaggio. Sedili del bus comodi e esageratamente reclinabili, riesco a rilassarmi bene, come al solito non a dormire.

Autostrada e poco traffico, nonostante una sosta benza appena prima dell'arrivo alle due e mezza arriviamo a destinazione, già prima di scendere odori pesanti mi investono: puzza di grande città, la seconda del Tamil Nadu, fumo, gas di scarico e urina, la gente la fa appena scesa nella canaletta a fianco alla stazione. Se la giocano otto tassisti, la spunta un pelato che sembra un cinese che ci porta sul suo risciò al quartier generale dei Salesiani in città. Anche qui gente che dorme, fuochi sui marciapiedi. Prendiamo scorciatoie, strade di terra quasi vuote, silenzio quasi irreale da queste parti. Mi danno la stanza del Padre Provinciale e mi butto a letto, finalmente al fresco, sono le tre del mattino.

Alle sette e mezza mi sveglio con la musica tamil e i riti del pre inizio lezioni dei college salesiani, ero stanco e ho dormito bene anche se poco. Mi butto due secchi d'acqua addosso e faccio colazione con Padre Francis, il Rettore del posto, che mi parla di quando è stato in Italia e a Padova. Conosco un po' di gente del posto e mi affidano a Partiban, un baldo studente del College che mi fa da guida turistica. La corsa in risciò per il tempio costa 80 rupie, traffico incasinato, Madurai è grande come Milano e la mattina non c'è meno casino.

Molliamo i sandali ad un mega deposito e visitiamo lo Sri Meenakshmi Temple, uno dei più grandi del Sud dell'India, torri interamente ricoperte di sculture di divinità del Pantheon indù, incensi, fiori e tanta gente. La leggenda narra che la bella Meenakshmi era nata con un tre seni e una profezia: ti libererai di quello di troppo quando troverai il tuo amante, che è Shiva, il dio della distruzione della trimurti indù.

Trovo anche qualche mio simile, due americane e due francesi, strana sensazione, non ne vedo da settimane. Spettacolare piscina con enorme fiore di loto dorato, impossibile accedere al sancta sanctorum per i non adepti, bell'incontro con un vecchio signore che mi sorride, mi chiede da dove vengo e mi dice che "what you find here is peace of mind, you cannot buy with one billion dollars".

Abituato al silenzio delle chiese faccio fatica a trovare il senso del sacro, non conosco niente di questa religione. Usciamo, visitiamo un mega palazzo comunale in stato di degrado avanzato e chiaccherando con Partiban ci facciamo una bella passeggiata per la città, negozi, lavori in corso, fumo, odore di cibi sconosciuti, ancora incensi, polvere e clacson.

Sono le undici e mezza e siamo ben oltre i trenta gradi, il sole picchia di brutto. Mi fabbrico un Gatorade con il Polase nella fida boraccia svizzera e mi proteggo con la bandana mother-sponsored. Partiban - 17 anni - mi dice che in India i gruppi di amici sono separati per genere, non ha amiche donne. Troviamo Sagaya, faccio rapido shopping, in moto al College e da lì in risciò alla stazione, dove con un euro ci sfondiamo di riso ed eventuali serviti su una foglia di banano.


Compro la n-esima bottiglia da litro d'acqua e zompo sull'autobus per Thanjavur, è l'una e mezza. Questo è un bus più popolare, meno spazio per le gambe ma più per il casino, gente che sale e scende di continuo, venditori di ogni tipo di frutta o arachidi che girano per il piazzale, nei villaggi che attraversiamo anche gente che viene a vendere sul bus scendendo al volo. Andiamo lenti, prendiamo anche un po' di pioggia. Siamo a Thanjavur alle cinque e tre quarti, continuo a bere, sonno, caldo e freddo alternati. Prendiamo un bus più veloce, il cui autista non sembra non curarsi della presenza di bumper dolomitici, siamo seduti dietro e ci facciamo dei bei salti. Nessun sedile misto e video musicali tamil in tv.

La vescica è in crisi ma grazie a un bell'ingorgo di un quarto d'ora vado in bagno dietro l'angolo e rinasco. Arrivati a Mayiladuthurai alle otto e un quarto, dopo 25 ore, 14 di viaggio e 4 di sonno, mi sembra di essere andato a bruscandoli. Seduto dietro in moto guardo la campagna e le palme riflesse nelle risaie illuminate dal chiarore della luna quasi piena, che proietta anche un'aureola rosa sulle nuvole ormai innocue. Sono stanco, sporco, distrutto. Ma non mi sento né stanco, né sporco. Mi sento vivo.

2 commenti:

  1. bravo tommaso, la stai vivendo esattamente come deve essere vissuta e stai godendo delle meraviglie di un posto che sono sicura ti restera impresso nel cuore....ti invidio...mi mancano!

    RispondiElimina
  2. bravo tommaso te la stai vivendo al massimo e stai godendo delle meraviglie di un luogo incantato pur con le sue contraddizione che ti resterà impresso nel cuore...per sempre....ti invidio, un abbraccio Marina

    RispondiElimina